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HCA 6021 RENATA TEBALDI "INSOLITA"

COMPOSITORI D'OPERA > Livello 204

HCA 6021 Renata Tebaldi "Insolita"
STABAT MATER parte seconda
(Gioacchino Rossini)

Renata Tebaldi      Soprano
Nan Merriman       Mezzosoprano
Gianni Poggi         Tenore
Italo Tajo             Basso

Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino
Dirige Antonino Votto.  Maestro del Coro: Andrea Morosini
Firenze Piazza SS. Annunziata 22 giugno 1952

RECENSIONE PUBBLICATA DALLA RIVISTA MUSICA SUL NUMERO DI MAGGIO 2018

Se, della più che trentennale carriera della Tebaldi, considerassimo la sola sezione iniziale, all’incirca un buon terzo, la connotazione di insolita perderebbe certo molto del suo richiamo, dato che le pagine che rendono alto l’interesse editoriale dei 6 Cds qui recensiti ricorrevano con vivida frequenza nel percorso antecedente l’incontestato insediamento nella sua cathreda statunitense: così il Rossini connaturato a chi pesarese era di nascita, affacciatasi alla Scala con Toscanini nella stellare invocazione del “Mosè”, colta nella seconda parte di uno “Stabat Mater” open air al Maggio Musicale Fiorentino ‘52, quello per l’appunto tutto rossiniano. Erano presenti i microfoni della BBC ed è a loro che dobbiamo il suono tuttora ben fruibile di una performance dove si fecero valere un sonoro Tajo, un nitido Poggi e la direzione di Votto col soprano al secondo “Stabat”, dopo il debutto del ‘49 al São Carlos di Lisbona. Voce riconoscibilmente grandiosa dal porgere altrettanto monumentale, ci fu chi non mancò di sofisticheggiare imputando a tanto vigore un che di verdiano in eccesso. Ma si trattava del Rossini parigino tutto immerso, più che preannunciato,  in un preverdiano appropriatamente infllammatus et  accensus. Godiamo questa voce di soprano 1° in grado di rispettare i molti fff che le si prescrivono; di ascendere al si bemolle acuto e tenerlo in ossequio al compositore (evitando l’escamotage di altrui note ribattute in pppp, in sospetto di falsettone); magistrale nell’attaccare, prima sottovoce e poi in piano, come prescritto, il Fac me Cruce custodiri, pronta all’ascesa al do in terza ottava d’inusuale impatto.
In quel Maggio, la Tebaldi assunse in repertorio anche la Matilde del “Tell” e il cofanetto ne offre l’esemplare Selva opaca da un concerto RAI del ‘53. Rifulge la dinamica sfumata di antica scuola e vale rifarsi - ce suffit - al commento che ne fece  la più rossiniana delle voci dei tempi nostri, Marylin Horne. Giovane ed entusiasta spettatrice, aveva avuto modo di ascoltare una ventottenne Tebaldi a Los Angeles nel ‘50 e, in un’intervista rilasciata nel 1986 all’indimenticato Sandro Rinaldi di Radiotré,  dichiarava in pittoresco italiano: «...ho avuto come modello la Tebaldi, cercavo di ‘essere’ la Tebaldi...e, poi, ho scoperto anche la Stignani ...Quando sento i loro dischi, una cosa incredibile, quasi...casco! Quando uno sente ‘Selva opaca’ cantata dal vivo dalla Tebaldi non trova paragoni possibili: non c’era e non ci sarà mai paragone perché si ascolta veramente una voce che scende dal Cielo».
Frequentato in due sole occasioni, nel 1950 alla Scala e in tourné scaligera a Edimburgo, ecco la Tebaldi anche nell’estremo Mozart del “Requiem in re min. K 626”, fregiato dalla bacchetta di Guido Cantelli.
La vocazione mozartiana del soprano era stata indubbia, prima che la filosofia distributiva di ruoli e generi del Met, basata su presunte specializzazioni di cast mitteleuropei, la concentrasse del tutto sul grande repertorio operisitico di casa nostra: era stata più volte Contessa nelle “Nozze” e perfino Susanna in disco, Donna Elvira in “Don Giovanni”, oltre che soprano 1° del “Requiem”. In recital, poi, offriva pagine metastasiane e dapontiane.
In quartetto non poteva non brillare almeno prima inter pares tra una Barbieri giovane, un affidabile Prandelli ed un Siepi splendido. Una segnalazione a parte vorremmo però consentircela per l’Introitus e il Benedictus in cui la voce si librò con dolcezza ineffabile.
Delle due opere complete che, non usuali, offre il cofanetto, la prima è quella “Giovanna d’Arco” del 1951 che riuscì nel 20° secolo a far risalire le quotazioni dell’opera fin qui inabissata all’ultimo posto del denso catalogo verdiano e noi, alieni dal fare musicologia in un contesto riservato a teatrali contingenze, ricorderemo che, reduce dal non-successo della sua Violetta milanese, la prima ripresa di contatto con il pubblico, la Tebaldi l’effettuò al San Carlo, ben consapevole dei propri valori, con il ruolo della Patrona di Francia, a prova generale aperta ad un pubblico proteso in molti interogativi.
Renata si mostrò a perfetto agio in uno di quei ruoli di santa che le ispiravano autentiche trasfigurazioni vocali, fornendo una prova ammirevole anche nei momenti più concitati imposti dalla scrittura cabalettistica del Verdi giovane e, fortunatamente, delle mirabilia che seppe elargire fanno fede le registrazioni integrali sancarliane nonché della RAI, nel quadro del tutto Verdi che l’ente approntò nel ‘51, quando il ruolo dell’irresoluto sovrano francese lo assunse un già grande Bergonzi alla prima esperienza tenorile.
Rinfrancata, Renata si trovò a rimisurare l’eloquenza di vocalità e carisma col prediletto personaggio di Violetta; proprio al ‘51 risale difatti un Addio del passato diretto da Giulini in concerto RAI dove si armonizzavano la superiorità di un timbro privilegiato e la dottrina di antica scuola che, partendo da Cotogni e dalla Melis che n’era stata discepola, si sublimavano nel giovane soprano.
Ma eccoci ora a Wagner, congeniale a voce e sensibilità della Tebaldi (sperimentata Elsa ed Elizabeth oltre che Eva in teatro) che lo ebbe in repertorio fino all’insediarsi al Met. Fortuna ha voluto, però, che sia l’Elsa che l’Elisabetta wagneriane ci siano state tramandate da registrazioni sancarliane. Qui abbiamo il suo secondo “Tannhäuser” napoletano (1950) legittimato, come il primo del ‘48, dalla direzione di Karl Böhm che si riavvalse convintamente della debuttante protagonista di due anni prima.
Al Max Lorenz, alquanto usurato del ‘48, subentrava nel title role Hans Beirer, ma fu la Tebaldi a polarizzare ancora una volta l’attenzione generale. Per Böhm, come testimonia un’autobiografia del grande direttore a quattro mani con un figlio, il soprano fu da allora“la mia Elisabetta”. Ne riferì anche Terry Mc Ewen dello staff del Met confermando come, per Böhm, le più belle performances mai udite delle wagneriane Elsa ed Elisabeth fossero proprio quelle della Tebaldi.
Tra i giudizi critici ecco quello del reputato Antonino Procida su Il Giornale: «...è riapparsa quella stupenda ‘Elisabetta’ che fu già acclamata. La sua bella voce tanto armoniosamente gradevole, il suo canto così fluido ed espressivo, il suo accento sempre fedele allo stile, unito alla grazia della sua statuaria figura ne fanno un’interprete ideale».   
È infine il duetto finale I da “Madama Butterfly” a concludere l’Omaggio alla Tebaldi inusuale da 5 asterischi. Non è quello notissimo registrato l’anno prima a San Francisco con Di Stefano; appartiene bensì a un concerto di São Paulo do Brazil dove il tenore seppe però ripasticciare il testo di Pinkerton con identica, simpatica nonchalance. Gaudeamus!

Vincenzo Ramón Bisogni

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